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Carmen Consoli - "Mediamente isterica - deluxe edition”

Ultimo Aggiornamento: 08/11/2008 13:49
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08/11/2008 13:49
 
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Tra una colonna sonora (“L’uomo che ama” di Maria Sole Tognazzi), un tour acustico negli Stati Uniti e un duetto (con Franco Battiato, con Ornella Vanoni) Carmen Consoli la cantantessa trova anche il tempo di guardarsi indietro, assecondando una duplice moda artistica e industriale: la riproposizione dal vivo di un disco classico, la “deluxe edition” che lo ripresenta sul mercato arricchendolo di contenuti. Lei però lo fa nuotando controcorrente, privilegiando a dieci anni di distanza il suo disco più ostico e controverso, quel “difficile terzo album” che l’autrice stessa ricorda oggi senza mezzi termini come “un disastro commerciale”. Eccolo dunque ritornare in duplice veste, “Mediamente isterica”, una versione rimixata e ricantata di fresco (con l’aggiunta di un inedito d’epoca, “L’uomo meschino”) abbinata all’edizione “storica”, arricchita da provini e versioni alternative ripescate dall’archivio. Quelle stesse canzoni, in sequenza, Carmen ora le ripresenta anche dal vivo, in un giro dei club del paese che oggi, 30 ottobre, parte proprio da quella Torino che nel ‘98 diede il la al tour promozionale del disco. Si torna a far rock, insomma, e persino nel look, frangetta corta e molto chic, Carmen sembra quella di allora. “Eppure”, dice, “oggi io e il mio gruppo dal rock ci sentiamo distanti, non siamo neppure più abituati a certi volumi sul palco. In realtà il rock c’entra poco, non è per questo che oggi considero ‘Mediamente isterica’ il disco della mia vita. Lo è per quello che dice e che racconta, perché mi rappresenta ancora per quel che sono, perché è stato il primo a ritrarre una galleria di figure e personaggi femminili. E pazienza se non è stato un gran successo, non sono una grande imprenditrice di me stessa e provo gusto nell’insistere sui miei fallimenti…Quell’album nacque in un periodo di ispirazione e di grande feeling con il gruppo, e con tanto tempo a disposizione: sei mesi di ‘laboratorio’ nel Cantinone di San Gregorio (Catania), lo studio del mio primo produttore Francesco Virlinzi. ‘Besame mucho’, all’inizio, suonava quasi hendrixiana”. Francesco non c’è più, e nel frattempo è tragicamente mancato anche il bassista Leandro Misuriello: anche questo, purtroppo, segna il tempo che passa. “Sono successe cose strane, durante il lavoro di recupero delle bobine analogiche. Abbiamo scoperto questa versione di ‘Eco di sirene” in cui Francesco canta i cori, ed è stato un colpo, come vedere riaffiorare improvvisamente tanti ricordi del passato. Facevamo un gran baccano, provando le canzoni, tanto che persino l’Etna si mise a brontolare e la donna di servizio quasi ci mise le mani addosso. Di ‘Contessa miseria’ c’è una versione diversa nel primo cd remixato e ricantato, né io né Francesco allora ne eravamo convinti e chiedemmo a Leandro di suonare una parte di basso: beh, quella parte, incredibilmente, è scomparsa, non volevamo che qualcuno la risuonasse e siamo tornati alla prima versione. Rimettendo mano al disco, ne abbiamo approfittato per ripulire le tracce, aprirle e farle respirare, e anche per togliere qualche loop elettronico di troppo. Il cuore del disco è una band che suona in presa diretta nello studio, per questo il suono è rimasto così fresco. Un approccio simile a quello di ‘Eva contro Eva’, l’altro mio disco che a questo assomiglia di più. Avevamo preso il meglio di quanto allora fosse disponibile, il fonico era lo stesso di Natalie Merchant, le idee erano all’avanguardia. Ho voluto aggiungere l’inedito, ‘L’uomo meschino’, perché è dello stesso periodo e aggiunge una dimensione che allora non mi sentivo di esprimere: quella del perdono. I provini, le outtake, servono a completare l’opera filologica di riscoperta di quell’album”.
Ma perché questa voglia di passato, e proprio ora? “Perché è al passato che sento il bisogno di guardare per potermi evolvere. Ai tempi di ‘Mediamente isterica’ mi sentivo ancora tra la terra e il mare, i miei sentimenti prevalenti erano l’inadeguatezza e la collera. Ora ho imparato a trattenerla, la rabbia, e mi piaceva l’idea di esaltare la luce di quel disco. L’ho voluto ricantare perché all’epoca, tuttora non so spiegarmene il motivo, la mia voce ne uscì sacrificata. Innaturale, come se fosse stata registrata a una velocità accelerata. Chissà, forse cercavo di imitare troppo Cait O’Riordan, forse ero troppo piccola per quelle canzoni, di cui oggi ho voluto far risaltare la melodia. Rileggendo i miei diari di allora, forse, potrei trovare una risposta”. L’idea, comunque, non è partita da lei: “No, è stata del mio produttore, Francesco Barbaro. Ho detto subito di sì perché non l’avevo mai digerito, il modo in cui suonava la mia voce in quel disco. E comunque questo è un album che non cambierei di una virgola, non come i primi due in cui ci sono cose acerbe che non mi sentirei più di ricantare: mi ci riconosco, sono ancora io, anche se allora ero una ragazzina di 24 anni e a ripensarci mi faccio anche un po’ di tenerezza. Di allora conservo il desiderio di non accettare compromessi, il vivere la musica come un bisogno assoluto”.
Però, intanto, non siamo più nel ’98: “Certo che no. Allora moriva Battisti, Benigni prendeva un Oscar, Pantani ‘il pirata’ vinceva Giro d’Italia e Tour de France nello stesso anno…E la musica italiana viveva un momento esplosivo, di grande speranza: ricordate i CSI primi in classifica? Oggi quegli spazi, quell’entusiasmo non ci sono più. Le radio e le tv sono molto più conservatrici, le case discografiche non coltivano il vivaio, non ci sono più club dove suonare e i giovani musicisti non hanno modo di crescere: io, al primo disco con la PolyGram, ci sono arrivata dopo tre sacrosanti anni di anticamera. E invece oggi se non hai il singolo per le radio nessuno ti ascolta, e a me vengono a dire che ‘Eva contro Eva’ è un disco difficile: ma mica è jazz, io faccio canzonette! Il problema è che chi decide le sorti della musica è in gran parte incompetente: ci vogliono professionisti seri, non maghi e santoni. Mi piacerebbe proprio sottoporre i direttori artistici delle nostre case discografiche a un esame elementare di solfeggio, mettergli davanti uno spartito e vedere cosa succede: eppure è un discorso semplice e logico, chi ha studiato da estetista mica si mette a progettare e costruire palazzi! Lo studio è importante, le rivoluzioni si fanno con la conoscenza: per questo non abbiamo più i nuovi Luigi Tenco, i Modugno e i Bruno Martino, per questo non ci sono più le nuove Mina, le Patty Pravo e le Vanoni, la signora assoluta della canzone: la cultura italiana si è come essiccata. Non c’è da vergognarsi, ad avere nostalgia di un certo passato: personalmente ho un pessimo rapporto con la tecnologia, non uso Internet e mi fa paura perché sulla rete tutti si fanno scudo dell’anonimato per dire cose spesso terribili. Io preferisco ancora scrivere lettere, macchiarmi di inchiostro. Essere artisti significa lavorare, reinventarsi, sforzarsi di essere originali. Siamo gli unici al mondo a vergognarci delle nostre musiche regionali, quelle che all’estero promuovono come world music. Io mi sto conquistando uno spazio in America proprio grazie a quello, difendendo la mia italianità e la mia sicilianità: così, un po’ per volta, sono passata da 50 a mille spettatori. E’ sulla musica dal vivo che bisogna investire, se non sai stare su un palco e non sai suonare sei finito, non vai da nessuna parte. I tempi sono cambiati”. Ascoltare oggi “Mediamente isterica”, magari, serve anche a ricordarcelo.
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