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Mafia, "Provenzano mai stato capo"

Ultimo Aggiornamento: 16/12/2008 19:04
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Procura Palermo: "Era solo consigliere"
Bernardo Provenzano non è mai stato il capo di Cosa Nostra. A rivelarlo è il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, commentando l'operazione che ha portato all'arresto di 99 persone a Palermo. "Provenzano era un ascoltato autorevole consigliere di Cosa Nostra". "La strategia di sommersione di Cosa Nostra che sembrava essere stata scelta da Provenzano - ha spiegato Messineo - era dovuta alla mancanza di un capo".



Provenzano quindi sarebbe stato un "'consulente" illustre delle cosche palermitane da sempre guidate dal capomafia di Corleone, Totò Riina. Il prestigio di Provenzano - secondo il Procuratore capo di Palermo - gli derivava "di riflesso da quello di Riina".

Per Messineo, la stessa strategia della sommersione - la tregua armata stabilita dopo le stragi del '92 dai boss e che sembrava - essere stata scelta da Provenzano, sarebbe invece derivata dall'assenza di una struttura unitaria di comando come la Commissione provinciale. Quella strategia - ha spiegato Messineo - "derivava invece dall'impossibilità di fare scelte diverse a causa di una paralisi decisionale: non c'era più il capo".

Secondo il capo della Dda palermitana "Cosa nostra è attaccata alla cultura delle regole quindi la mancanza di una Commissione provinciale le ha impedito di fare scelte e agire".
Ridimensionato anche il ruolo di altri boss
Messineo ha anche ridimensionato il ruolo di Salvatore Lo Piccolo: "Non era il capo di Cosa nostra a Palermo, non ha mai avuto potere di comando se non in una zona della città". Quanto al super-latitante trapanese Matteo Messina Denaro, e al suo interesse alla ricostituzione 15 anni dopo di una Commissione di Cosa Nostra, secondo Messineo, "viene evocato continuamente, tenuto in massima attenzione ma come nume tutelare esterno. E' fuori da Palermo, ma la sua opinione è importante".

Per Messineo, inoltre, le tre frange natei all'interno di Cosa Nostra (favorevoli alla ricostituzione della Commissione, in una via di mezzo e quelli assolutamente contrari) "'tiravano per la giacchetta il figlio di Totò Riina" che, come hanno spiegato i Carabinieri, aveva avuto "l'ordine di restare dentro casa. Tenuto fuori, non da parte".

Ridimensionato dall'inchiesta anche Gerlando Alberti. Interpellato subito dopo l'uscita dal carcere, il boss ha espresso l'impossibilità ad aderire al gruppo di coloro che volevano la ricostituzione della Commissione "perché a Porta Nuova comandano altri".


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